La valorizzazione del patrimonio archeologico della Sardegna
Tra le attrazioni uniche e di altissimo valore culturale che si trovano in Sardegna ci sono i Nuraghi che, come è noto, sono delle costruzioni in pietra: le più vecchie risalgono intorno al 1800 a. C.
Sul territorio isolano ne sono stati censiti circa 7000 e sono quello che rimane della civiltà nuragica, di cui si ha traccia solo su questa isola.
Già solo questo basterebbe per far capire quale e quanta importanza si deve riservare a questo patrimonio archeologico tanto prezioso ma che, come spesso accade, viene penalizzato.
La cultura infatti deve fare letteralmente i conti con le risorse sempre più scarse a essa dedicate.
La chiusura del Nuraghe di Barumini
Diversi siti archeologici tra i quai i Nuraghi di Barumini, ma anche l’anfiteatro di Cagliari, il museo di Carbonia e quello di Sant’Antioco (CG) e tanti altri complessi museali, storici e archeologici di questa splendida terra, tra cui Villanova Grande e Santa Cristina, molto presto dovranno essere chiusi al pubblico.
La notizia è stata data dall’Associazione generale delle cooperative italiane (Agci), sotto la quale sono state raggruppate più della metà di quelle cooperative con fini culturali e di promozione del turismo e della cultura locale, che si dedicano alla gestione sia dei musei che dei vari siti archeologici in Sardegna.
Come è prevedibile immaginare la stessa notizia ha subito fatto scalpore.
Il disagio creato ai turisti che sbarcheranno sull’isola e si troveranno di fronte a cancelli chiusi e punti di accoglienza deserti, è uno scenario non remoto che si prefigura all’orizzonte.
La stessa chiusura si ripercuote direttamente anche a livello occupazionale, in quanto gli addetti ai lavori potrebbero non percepire più lo stipendio degli ultimi due mesi dell’anno.
I motivi della chiusura
La fruizione della cultura, nel senso più ampio del termine, troppo spesso dipende dalla questione economica e dai fondi ad essa destinati, che le permettono di essere diffusa e trasmessa alle nuove generazioni.
E’ quello che sta succedendo anche in Sardegna dove, nel mese di settembre, molti comuni si sono visti costretti a inviare alle suddette cooperative delle lettere dove hanno preavvisato che il servizio presso i vari siti dovrà cessare, perché non ci sono più le risorse.
E’ quanto ha anche confermato il presidente dell’Agci Sardegna, Sergio Cardia, precisando che i fondi che erano stati stanziati e messi a disposizione per l’anno 2015 sono terminati.
L’ammontare dei fondi che erano stati dati al settore arrivava a 14 milioni e 650 mila euro.
Questa cifra avrebbe dovuto garantire l’apertura e la gestione dei siti per un anno intero ma in realtà, per coprire in tutto i 12 mesi, erano necessari almeno 17 milioni di euro, quindi molto di più di quanto preventivato.
Le finanze dedicate alla cultura sono sempre meno e risentono anche dei tagli che sono stati effettuati riguardo agli enti locali e in particolari ai Comuni.
Nel caso della Sardegna le risorse disponibili coprivano solo l’87% dei servizi e, in particolare, il costo stesso del lavoro.
Per tenere però aperti ed efficienti anche i siti si è dovuto dare fondo al denaro disponibile che adesso manca per coprire il pagamento degli stipendi di 600 persone che lavoro in questo settore.
Si tratta di altrettante famiglie che vedranno improvvisamente mancare una risorsa importante al loro budget famigliare, per non parlare del danno all’immagine di una regione come la Sardegna e della cessazione anche delle entrate relative agli introiti derivanti proprio dalle visite turistiche che non saranno fatte.
Urge insomma un intervento risolutivo e che scongiuri la chiusura.